sabato, dicembre 06, 2008

Origine

Il paradigma oggi dominante per interpretare le vite umane individuali, e cioè il gioco reciproco tra genetica e ambiente, omette una cosa essenziale: quella particolarità che dentro di noi chiamiamo: "me". Se accetto l'idea di essere l'effetto di un impercettibile palleggio tra forze ereditarie e forze sociali, io mi riduco a mero risultato. Quanto più la mia vita viene spiegata sulla base di qualcosa che è già nei miei cromosomi, di qualcosa che i miei genitori hanno fatto o hanno omesso di fare e alla luce dei miei primi anni di vita ormai lontani, tanto più la mia biografia sarà la storia di una vittima. La vita che io vivo sarà una sceneggiatura scritta dal mio codice genetico, dall'eredità ancestrale, da accadimenti traumatici, da comportamenti inconsapevoli dei miei genitori, da incidenti sociali. […]
Noi siamo vittime delle teorie ancor prima che vengano messe in pratica. […] La vittima è l'altra faccia dell'eroe. Più in profondità, noi siamo vittime della psicologia accademica, della psicologia scientistica, financo della psicologia terapeutica, i cui paradigmi non spiegano o non affrontano in maniera soddisfacente — che è come dire ignorano — il senso della vocazione, quel mistero fondamentale che sta al centro di ogni vita umana.
[…] Leggere a ritroso significa che la parola chiave per le biografie non è tanto "crescita" quanto "forma", e che lo sviluppo ha senso soltanto in quanto svela un aspetto dell'immagine originaria. Beninteso, ciascuna vita umana di giorno in giorno progredisce o regredisce, e noi vediamo svilupparsi svariate facoltà e le osserviamo decadere. E tuttavia l'immagine innata del nostro destino le contiene tutte nella compresenza di ieri, oggi e domani. La nostra persona non è un processo o un evolversi. Noi siamo quell'immagine fondamentale, ed è l'immagine che si sviluppa, se mai lo fa. Come disse Picasso: «Io non evolvo. Io sono».
Tale, infatti, è la natura dell'immagine. L'immagine è presente tutta in una volta.

> James Hillman, Il codice dell'anima, 1997


«Chi ghn'à mia in quidzëina, ghn'à gnan in trintëina».
[Chi non ha senno a quindici anni, non ne ha neanche a trenta].
Detto piacentino

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